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Sardi Vs Paperissima - Orgoglio e pregiudizio

Alcuni giorni fa la trasmissione Paperissima Sprint ha fatto quello che fa praticamente dagli albori della sua esistenza: comicità dal registro estremamente popolare, molto semplice e - a mio gusto - di pessima fattura. Praticamente il livello che sta nel mezzo tra mezz'ora di scoreggia reiterata e cinepanettone. E lo ha fatto tramite uno sketch in cui, per farla breve, il punto più alto dell'ilarità si sarebbe dovuta raggiungere con Gabibbo e presentatrice che sottolineavano quanto il pastore puzzasse. Un pastore interpretato da Davide Urgu, figlio del più noto comico sardo Benito (già visto nelle tv nazionali per collaborazioni con Nino Frassica).

E da qui in poi, apriti cielo. Per tutta la sera dopo la messa in onda della puntata e per tutta la giornata successiva, orde di sardi si sono riversati sui social a sfogare la propria indignazione per la terribile onta: HANNO DETTO CHE I PASTORI SARDI PUZZANO.



Quella di Paperissima Sprint è stata una gag comica intelligente?


Qui bisogna capirci da un punto di vista tecnico: definire cosa sia "intelligente" o meno se si parla di umorismo e dintorni, è molto molto difficile se non impossibile. Per il semplice fatto che non esistono dogmi in tal senso e nemmeno testi sacri, esiste semplicemente l'esperienza (anche codificata e tramandata, sia chiaro) di quali siano gli strumenti a disposizione della comicità per formulare una scena che sia TECNICAMENTE valida, facendo presa su alcuni meccanismi umani che portano alla risata. Questi meccanismi non sono validi per tutti allo stesso modo. A me ad esempio provoca una certa ilarità il cosiddetto "nonsense", e paradossalmente è un registro che uso poco per le vignette. Per intenderci con chi non sapesse di cosa parlo, è quello usato spesso da fumettisti come Sio, o comici televisivi (termine riduttivo ma ci siamo capiti) come Valerio Lundini, che riesce in maniera spiazzante a usare elementi nonsense all'interno di situazioni assolutamente verosimili, tanto che con lui si può già parlare di "satira sociale" o comunque la si voglia chiamare. Chiusa parentesi, torniamo alla domanda...


Non so se ci sia una correlazione diretta tra età della platea e fruizione di contenuti comici o presunti tali, ma certo è che diverse cose per cui ridevo da ragazzino mi siano risultate poi insopportabili da adulto. Attenzione, ciò non significa che chi oggi da adulto trova divertente Paperissima Sprint sia necessariamente un depensante, non credo ci sia una correlazione diretta e necessaria tra le due cose. Tendo a pensare che per riuscire a codificare una comicità più articolata, che presenti più livelli di lettura, sia necessario per lo meno avere gli enzimi adatti. Culturali, e talvolta pure emotivi. In parole povere, con un senso dello humor in grado di reggere la stand-up comedy (per me il top of the top della comicità) ci devi un po' nascere. E devi poi avere la botta di culo di crescere in un contesto famigliare e culturale che ti dia gli strumenti per reggere la satira quando questa tocca direttamente il tuo orticello.


E non parlo di ridere o non ridere, sia ben chiaro. Che una battuta provochi concretamente la risata non è condizione necessaria affinché risulti "riuscita", in un monologo di stand-up comedy. Può trattarsi anche di una costruzione con il preciso scopo scopo di farti arrivare un pugno nello stomaco. Il discorso è complesso, lo tratto in maniera approfondita nel podcast pubblicato alcuni giorni fa e disponibile qui su Jenus Holy Fans alla sezione "podcast". Senza farlo a PODCAST ahahaha faccio ridere .... ok.


Di una cosa siamo certi. Si tratti di Satira o - come nel caso di Paperissima - dei più elementari livelli di umorismo da boomer, il contesto e la platea a cui lo sketch è rivolto sono F-O-N-D-A-M-E-N-T-A-L-I.

Quello della prima serata su Mediaset è un pessimo contesto già di per sé, perché devi spesso e volentieri rivolgerti a persone non esattamente giovanissime, discretamente permalose e sempre pronte a ridere di chiunque tranne che di se stesse. Figurati se poi lo stile è quello di Antonio Ricci, uno che è da ...quanto? 30, 50, MILLE cazzo di anni che propone praticamente sempre le stesse formule stantie, con insopportabile risata finta in sottofondo ogni 3 secondi e battute che suonano cringe persino a quelli della mia generazione. Gag basate su luoghi comuni che - per carità, lungi da me chiederne alcuna forma di censura - funzionerebbero solo e soltanto quando inserite in una narrazione impeccabile dal punto di vista tecnico. Ci devono essere i giusti tempi comici, una spalla che funzioni, una costruzione precedente che accompagni al climax, insomma un'ottima scrittura alle spalle. Oppure, in alternativa, stare sempre sul filo del rasoio prendendosi gioco oggi dell'uno e domani dell'altro, con quella leggerezza che fa sì che alla fine nessuno si incazzi.

Ricordate l'episodio degli occhi a mandorla di Michelle Hunziker e Gerry Scotti? Stessa cosa. Arriva l'indignazione popolare, scuse su scuse, "siamo amici di tutti, non volevamo offendere", e ricomincia il ciclo. Nuovo giro, nuova corsa.

Direi "qualcuno spieghi a Ricci che cosa significa CONTESTO", ma sono estremamente sicuro che lo sappia molto bene e non gliene freghi nulla.


In definitiva, quella di Paperissima non era una gag intelligente, perché era una gag di Paperissima. Roba vista e travista, mal costruita, che non rispetta nessuna delle accortezze necessarie per costruire e contestualizzare una scena comica senza che sia adatta praticamente solo al pubblico di Paperissima / Striscia la Notizia. Ovviamente alla fetta non direttamente interessata dalla battuta, altrimenti c'è una buona probabilità che partano le insurrezioni. Ed è esattamente quello che successo stavolta con i sardi che guardavano i programma e quelli che, a cascata, sentendo raccontare della cosa e senza necessariamente andare a vedere la gag incriminata, si sono incazzati sulla fiducia.